venerdì 8 marzo 2013

Quello che resta di un Kodak T-Max 3200

Ho aspettato tanto per poter utilizzare un Kodak T-Max 3200. Un rullino preso tanto tempo fa, lasciato buono buono nella cassetta delle pellicole dormienti. Aspettavo la notte, ma la notte mi coglieva assonnata; aspettavo l'inverno, ma qui da noi l'inverno non è così brutto e bigio e funesto e allora nulla. Ho pensato addirittura "e se lo provassi in casa", ma i miei, in casa, sono "scarti" e non scatti e allora, anche stavolta, niente di fatto.
L'occasione propizia mi si è presentata all'improvviso lo scorso 27 gennaio, in occasione della "giornata della memoria", quando i Pagliacci Clandestini - Freckles hanno messo in scena un pezzo teatrale per le vie della città. Di sera. Mi sono emozionata, il momento giusto era arrivato, ma sapevo ugualmente che il rischio di fare un bel fiasco era dietro l'angolo. Infatti ho pensato bene di spulciare tutte le informazioni più improbabili in giro per la rete e di fare orecchie da mercante al mio istinto. Ho passato tutto il pomeriggio a leggere articoli su come usare al meglio questa pellicola, col risultato di confondermi sempre più le idee. E qui viene il bello, perché il mio istinto, in qualche modo, aveva ragione. Leggendo e rileggendo ho sbagliato i settaggi della macchina, o meglio, ho sbagliato l'apertura del diaframma. I tempi erano giusti, l'apertura (per questo ho sbattuto la testa contro il muro copiosamente, ma dopo) no. Troppo chiuso il diaframma. Ma laddove ho provato a dare retta al mio istinto, tanto per non mangiarmi totalmente le mani dopo, il risultato l'ho portato a casa.
Il T-Max è il rullino del mio cuore (coi Fomapan), il 3200 era una sfida. Miseramente fallita. Dall'effimero risultato, comunque, ne viene fuori tutta la dignità di questa meravigliosa pellicola che riempie i neri proprio come piace a me, con l'aggiunta, evidentemente, di una grana grossissima dalla quale traspare tuttavia meno (forse anche per colpa mia) l'equilibrio che questo rullino rende sulla scala dei grigi. Devo dire, tutto sommato, che le foto riuscite colgono in pieno, anche dal punto di vista visivo, il senso della rappresentazione, incentrata sulla Shoa. Insomma, mi piacciono.
 
 

 
 

 
 
 
L'ultima è la mia preferita.
Ho aspettato tanto ed ho pure buttato al pattume l'occasione di sfruttare al meglio il primo 3200 della mia vita. Però ho imparato una cosa: che devo avere più fiducia in me stessa, quando l'istinto mi dice di fare una cosa, quasi sicuramente ci prende e non è soltanto una eco saccente che si fa strada in mezzo ad una slavina di punti interrogativi.

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