La prima volta che lessi la parola lomografia non mi
sarei mai aspettata di arrivare fino a qui. Non mi sarei aspettata di ritornare
a scattare in analogico, dimenticandomi quasi totalmente del digitale.
Semplicemente, quando lessi quella parola non avevo idea di cosa significasse.
Tantomeno riuscii subito a trovare un significato, a capire di cosa si
trattasse. Mi sono ostinata a ribaltare la rete senza successo, più che altro
perché il termine mi si era conficcato in testa come la freccia di Guglielmo
Tell nel cuore della mela, sulla capoccia del figlio. Non potevo mai immaginare
che cosa mi stesse aspettando. Per dire come le cose tramino per raggiungere
l’obiettivo, ravanando tra gli scaffali di una libreria alla ricerca di manuali
di fotografia (per imparare) e cataloghi (per rifarmi gli occhi), incappo in un
librettino dalla forma insolita, piccolo e compatto, dal titolo molto spiccio
ed inequivocabile: CLICK!
L’ho comprato nel giro di un nanosecondo per una serie
infinita di motivazioni che si sono coagulate tutte in quel medesimo
nanosecondo in cui ho deciso che quel libro sarebbe stato mio: tante foto, mood
accattivante, il fatto banale di essere un libro di fotografia e quello
decisamente meno banale che scritto in piccolo, accanto ad una foto io abbia
scorto, col cuore in fiamme, una parola. Lomografia. EUREKA!
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Il libricino di Kevin Meredith, anzi, ancora prima,
proprio Kevin Meredith (aka lomokev) mi ha aperto le porte di un mondo che
credevo svanito, come i dinosauri. Rullini? Bah, roba da Pleistocene, macchine
analogiche? Boh, ferrivecchi. Macché! Il tempo di sfogliarlo e tirare fuori dal
cassetto un vecchio Apx della Agfa in bianco e nero e la mia vecchia buona
Vivitar V3000s è stato un gesto istintivo.
CLICK! Ha tutto quello che serve per farsi venire la
voglia di scattare in analogico. Ogni foto è accompagnata dal tipo di macchina
utilizzata, dal rullino (con relativa modalità di sviluppo) e da considerazioni
flash che Meredith scrive a corredo degli scatti. L’ho sfogliato e risfogliato
migliaia di volte, quando ci ritorno scopro sempre qualcosa di nuovo, qualcosa
che prima mi era sfuggito. Alla fine della carrellata fotografica, poi, ci sono
un paio di consigli utili (fotocamere, pellicole e sviluppo, digitalizzazione e
anche fotoritocco) ed una panoramica sulle sue analogiche dalle toycams alle
reflex. Ogni foto, poi è contrassegnata da un bollino che indica una categoria
(es. composizione, esposizione, colore, filtri etc. etc., per tutti i gusti. Le
fotografie che ci sono all’interno sono tutte molto belle, mettono addosso la
voglia di prendere la prima macchinetta disponibile, ficcarci dentro un rullino
ed uscire fuori a scattare foto a manetta. Soprattutto, mette subito in chiaro
che per fare belle foto non servono “cannoni” tecnologici, ma basta una macchinetta
apparentemente ridicola (io l’ho scoperto con la mia amata Holga 120 GN).
Ti resta dentro la voglia di fare scorpacciata di
macchinette e rullini, soprattutto ti cura dall’intossicazione da pixel.
Insomma, da questo viaggio, personalmente, ho portato a casa il senso di
autenticità che ti lascia una foto scattata a rullino e la gioia di poter
giocare con gli scatti nel momento stesso in cui li stai facendo e non in
postproduzione.
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